Il datore di lavoro può nascondere la video sorveglianza sul posto di lavoro per controllare i dipendenti?
L’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro non solo è vietata dallo Statuto dei lavoratori, ma integra anche il reato di violazione della privacy. Secondo la Cassazione, il datore di lavoro che spia il lavoratore nell’esercizio delle proprie mansioni, occultando la video sorveglianza, può essere denunciato.
A sorpresa, però, con una sentenza, datata 17 Ottobre 2019, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ritiene eccezionalmente lecite le telecamere nascoste sul luogo di lavoro, senza previa informazione ai dipendenti, se utilizzate per scoprire l’autore dei furti avvenuti in azienda. Non quindi una finalità preventiva, volta cioè ad anticipare ed evitare la commissione di reati, ma investigativa. Vediamo meglio i dettagli di questa pronuncia e come si inserisce nel quadro nazionale delle norme a tutela dei lavoratori e della loro privacy.
Telecamere sui luoghi di lavoro: quando sono lecite
Il nostro Statuto dei lavoratori ammette le telecamere di video sorveglianza sui luoghi di lavoro solo previo accordo con i sindacati aziendali (o, in caso di mancata intesa, su autorizzazione dell’ufficio territoriale del lavoro) e comunque dandone adeguata informazione ai dipendenti (che non vanno tenuti all’oscuro di ciò). In presenza di tali due requisiti, l’installazione è comunque ammessa in tre casi:
– quando necessario per tutelare la sicurezza sul lavoro (si pensi a una telecamera negli uffici della posta o allo sportello della banca per dissuadere le rapine);
– quando necessario per la tutela del patrimonio aziendale, si pensi a una telecamera nei reparti del supermercato, per evitare che la merce venga rubata dai clienti o dagli stessi dipendenti (se al precedente punto la finalità è la tutela delle persone – dipendenti e clienti – in questo caso la tutela è il patrimonio);
– per esigenze organizzative e produttive (si pensi a una telecamera posta sull’uscio del negozio per vedere se entrano clienti e riceverli oppure a quella posta nei pressi di un macchinario pericoloso, per verificare se funziona correttamente).
Al di fuori di tali tre finalità, l’uso delle telecamere è sempre illecito. È illecito, ad esempio, se il datore di lavoro usa la video sorveglianza per verificare se i dipendenti stanno lavorando o piuttosto chiacchierano, escono o fanno la pausa caffè. E non solo: pur ricorrendo uno dei tre predetti casi, la telecamera è illegittima se la sua presenza non viene prima comunicata ai lavoratori del reparto i quali devono sapere di essere inquadrati.
Telecamere nascoste sul posto di lavoro quando sono lecite
La Cedu – ossia la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – ha autorizzato l’installazione, in un negozio spagnolo, di telecamere nascoste per evitare furti da parte dei dipendenti. L’azione non è stata resa nota prima ai lavoratori proprio per fa sì di cogliere, con le mani nel sacco, il responsabile.
La decisione appare in contrasto con la normativa italiana, ma secondo il Garante della Privacy la limitazione della riservatezza dei dipendenti può essere giustificata da una serie di considerazioni che rendono “speciale” il caso concreto. Difatti, l’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è stata, infatti, ritenuta ammissibile dalla Corte solo perché, nel caso che le era stato sottoposto, ricorrevano determinati presupposti: vi erano fondati e ragionevoli sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale, l’area oggetto di ripresa (peraltro aperta al pubblico) era circoscritta, le videocamere erano state in funzione per un periodo temporale limitato, non era possibile ricorrere a mezzi alternativi e le immagini captate erano state utilizzate soltanto a fini di prova dei furti commessi.
La videosorveglianza occulta è, dunque, lecita solo quando diventa l’extrema ratio, a fronte di “gravi illeciti” e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore. Non può, dunque, diventare una prassi ordinaria.
L’installazione di telecamere nascoste, senza previo avviso ai dipendenti, era giustificata dai sospetti ben fondati e dalle perdite subite. Inoltre, la videosorveglianza è durata solo 10 giorni, le telecamere erano puntate su un punto specifico «nella zona aperta al pubblico» e i filmati sono stati visionati solo da un ristretto numero di persone e utilizzati per uno scopo ben determinato.
Il requisito essenziale – sottolinea il Garante – affinché le telecamere nascoste sul lavoro, anche quelle destinate ad evitare furti e a tutelare il patrimonio aziendale, siano legittime resta dunque, per la Cedu, la loro rigorosa proporzionalità rispetto al fine per il quale sono state installate. Per la Grande Camera, le autorità nazionali devono garantire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco ossia il rispetto della privacy da un lato e, dall’altro lato, l’esigenza datoriale di proteggere i propri beni e assicurare il buon funzionamento dell’attività economica, soprattutto esercitando il proprio potere disciplinare.
«La videosorveglianza occulta è ammessa solo in quanto extrema ratio, a fronte di gravi illeciti e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore»
Il ricorso alla Corte era stato presentato da alcuni dipendenti di un supermercato per i quali l’installazione delle telecamere, decisa dal datore per individuare i responsabili del furto di prodotti, avvisando i dipendenti solo dell’esistenza di alcune telecamere, nascondendone altre, era contraria alla Convenzione.
Secondo i giudici, nel caso concreto, c’è stato dunque un giusto bilanciamento tra gli interessi in gioco, la privacy dei lavoratori da un lato e la tutela dell’azienda dall’altro. La mancata informazione preliminare ai dipendenti sull’installazione di alcune telecamere era giustificata dal sospetto di gravi irregolarità e dalle perdite economiche per il datore di lavoro, circostanze che «possono essere considerate come giustificazioni serie» per una limitazione della privacy. E questo – osserva la Corte – soprattutto quando c’è il sospetto che si tratti di un’azione concertata tra più dipendenti.
La conseguenza logica è anche la possibilità di utilizzo dei filmati nel processo quando non si tratta dell’unico elemento di prova.